9-11 DEBATES

September 16th, 2011 No Comments

The CCCB commemorates the tenth anniversary of the attacks with an installation by the artist Francesc Torres and a cycle of lectures

This week has seen the tenth anniversary of the 9/11 attacks and the CCCB wishes to join the commemorative events by contributing towards the reflections arising from them. Some days ago, the installation “Memòria fragmentada. 11-S NY Artefactes a l’Hangar 17” (Fragmented Memory: 9/11-NY Artefacts in Hangar 17) by the artist Francesc Torres was inaugurated. This is based on photographs he was able to take several months after the attacks in the hangar at JFK Airport where the remains of the Twin Towers were stored. Off-limits to the public, this space contained more than 1,500 objects of all kinds recovered from Ground Zero, thus inadvertently becoming an improvised museum and the most singular space of memory of the tragedy. In his own words, Francesc Torres’ installation is about “historic memory, national memory, memory of social and individual pain and ways of dealing with deep traumas in order to heal.”

Photo of the installation Fragmented Memory: 9/11-NY Artefacts in Hangar 17 © Francesc Torres- VEGAP- 2011

The exhibition is accompanied by a cycle of lectures “11-S. El món deu anys després” (9/11: The World Ten Years On – from 19 September to 2 November) which, in the broadest possible way, offers reflections on the political, social and cultural changes of these ten years with the aim of determining the nature of the legacy the attacks have left us today.

For many people, the heart-rending images of the collapse of the Twin Towers marked the onset of a new stage, as if we had crossed some hitherto unknown boundary and, somehow, nothing would ever be the same again. And it is evident that some things have changed over these ten years: the wars in Iraq and Afghanistan have evolved into conflicts that are very difficult to resolve, while also leaving a terrible bequest of victims who, for the most part, have not had the attention they deserve. In the West, other attacks like those in London and Madrid have had their effects on what could really be the main change in the western world: a new and paralysing sense of fragility that has made discourse on security and the terrorist threat a prevailing theme throughout the decade. The CCCB has been closely following these events over the years and has created its own lines of reflection in analysing them and evaluating their consequences: from the rise of an obsession with security and its dangers for democracies and human rights (“Arxipèlag d’excepcions” (Archipelago of Exceptions, 2005), “L’impacte de l’11-S i l’11-M. Una perspectiva comparada” (Comparing the Impacts of September 11, 2001 and March 11, 2004, 2005), “Mentides globals, violències locals” (Global Lies, Local Violence, 2006)); the impact of the attacks on urban life and public space (“Traumes urbans” (Urban Traumas, 2004), “Arquitectures de la por” (Architectures of Fear, 2007), “L’espai públic en el punt de mira” (Targeted Publics, 2008)); through to the difficulties of resuming an East-West dialogue and understanding the present-day reality of Islam and the Muslim world (“Fronteres” (Borders, 2004), “L’Islam europeu” (European Islam, 2005), “Imaginari democràtic i globalització” (The Democratic Imaginary in the Era of Globalisation, 2011)).

We have been developing these ideas through the years with contributions from local and international experts including Fred Halliday, Michael Walzer, Robert Fisk, Judith Butler, Arjun Appadurai, Gema Martín Muñoz, Georges Corm, Naomi Klein, Zygmunt Bauman, Stephen Graham, Tzvetan Todorov, Faisal Devji and Abdelwahab Meddeb, among many others.

Now, ten years on from 11 September 2001, with the West immersed in full-blown economic crisis and the Arab world convulsed with revolts in which people are demanding more democracy and more rights, we are offering a new debate on real and imagined transformations, on the world we believed was coming and that has finally become. The sessions include a discussion on the memory of the attacks, with Francesc Torres, Clifford Chanin, director of education and programming adviser of the National September 11 Memorial Museum, which was recently opened in New York, and Montse Armengou, journalist and authority on historical documentaries. There will also be a book launch, of Diari de guerra. Nova York, tardor 2001 (War Diary: New York, Autumn 2001 – L’Avenç, 2011), in which the professor of Art Fèlix Fanés will describe his experiences in New York in the months following the attacks. Also speaking will be Rafael Argullol, professor of Aesthetic Theory, and Mary Ann Newman, essayist and translator. Finally, there are two exceptional lectures that will inform us about two different realities that were profoundly disrupted following the events of 11 September: Pankaj Mishra, the Indian novelist and essayist will discuss how the attacks changed the relations between East and West and, very particularly, the West’s relations with the Islamic world; and the journalist Barbara Ehrenreich, who is well known for her incisive essays on the socioeconomic and cultural reality of the United States, will close the cycle with some thoughts on the effect of the attacks on American society.

With this lecture cycle we hope to furnish new perspectives to reflections that began ten years ago under the shadow of the unease that has lingered on after the attacks, reflections that we have been building on all this time in order to provide knowledge, horizons and voices that give us a better understanding of our world today.

(Català) Finalistes del projecte “Brangulí va ser aquí. I tu?”

September 13th, 2011 4 Comments

(Català) Brangulí va ser aquí – Un projecte de gràfica estratègica

September 1st, 2011 No Comments

(Català) Ja tenim 10.000 followers!

July 21st, 2011 No Comments

La mia citta’ di cartoline

July 11th, 2011 3 Comments

Non ti conoscevo, dice una delle cartoline – in francese – ma, dopo aver visto la Mostra, di te vorrei saperne di più. In una pagina del catalogo della Mostra stessa ho scritto che quest’ultima poteva forse essere il mio villaggio Potemkin, come quei bellissimi luoghi immaginari di cartone che il favorito della Zarina aveva costruito per nascondere la miseria della realtà che c’era dietro. E invece queste cartoline ricevute da tanti visitatori – tante cartoline di gente di diversi Paesi, al di qua e aldilà non solo dei Pirenei, ma anche dell’oceano – mi fanno capire, mi fanno toccare con mano che quella mirabile Mostra (uno dei più bei regali che io abbia mai ricevuto) è il mio ritratto.

O meglio, il ritratto della parte più vera di me, del mio modo di guardare, vivere e amare le cose, tanto più grandi e significative del mio scribacchiare. Non si tratta di me, ma di “Trieste a través de su persona”, come dice una di queste cartoline. E Trieste non vuol dire soltanto una città, di per sé piccola e modesta, ma una finestra dalla quale guardare il mondo, inquadrare la vita, raccontare delle storie. Se a quella finestra possono affacciarsi anche altri, se essa riesce a unire in un sentimento vario ma comune questi nuovi amici che si sporgono dal suo davanzale (in questo caso, il ciglio del Carso triestino o il molo che si protende nel mare davanti a Piazza Unità), il merito non è certamente mio, ma di chi ha voluto e creato la Mostra – di Josep Ramoneda, Jordi Ballò, Giorgio Pressburger, Paola Navone e delle collaboratrici e dei collaboratori che vi hanno dato un contributo creativo fondamentale. Io posso essere solo orgoglioso di aver dato lo spunto per questa creazione artistica che tanto mi trascende; che da me e dai miei libri prende le mosse per evocare, far balenare, rappresentare in modo originale una realtà peculiare non certo solo mia. E’ merito di chi l’ha pensata e allestita se, come dice una delle cartoline che ho ricevuto, è possibile a molte persone “compartir un Universo”.

Questa selva di cartoline di visitatori – che mi ha stupefattto perché mai avrei immaginato un tale slancio generoso da parte di amici sino a quel momento sconosciuti – è, a suo modo, un concentrato della Mostra stessa, una sua ri-creazione su scala materialmente ridotta ma straordinariamente significativa. Con esse si potrebbe costruire un affascinante castello di cartoline, un frattale della “Trieste di Magris”, che la contiene e riproduce. Per uno come me – il quale crede che scrivere, narrare siano un modo di gettare ponti tra diverse esistenze, una sfida all’insostenibile solitudine delle creature, una religio ossia un legame come volevano i narratori chassidici – questa città di cartoline è una vera grazia.

Una città composita: in queste cartoline c’è Trieste, c’è Barcelona, ci sono tante altre cose, raccolte in un luogo dell’anima. Sono indirizzate a me, con una generosità che mi tocca profondamente; le ricevo, tutte insieme, come una città di cui mi si offrono le chiavi. Una città del cuore – una di esse lo disegna – o meglio di diversi cuori. Non è poco, nel deserto di estraneità e malinteso in cui si muove l’esistenza di ognuno di noi. Non avrei mai immaginato di poter destare i sentimenti di amicizia, di vicinanza, di affinità spirituale testimoniati da queste cartoline. So bene di non essere soltanto e tanto io a destare questi sentimenti; è stata la Mostra a insinuare nell’anima di tante persone il desiderio di leggere ciò che ho scritto e soprattutto, come molti scrivono, di vedere il mio mondo, di venire a Trieste. Ma anche i premi che si ricevono senza merito scaldano il cuore e io mi sento circondato dall’affetto espresso in queste cartoline.

Postcard to Claudio Magris

Dovrei rispondere ad ognuna di essere, perché ogni dialogo è sempre a due, anche quando si allarga in un coro più ampio. Mi ha colpito la naturalezza, la sciolta spontaneità di questi messaggi in bottiglia che il mare della vita mi ha portato. Non ci sono troppi complimenti, qualcuno scrive di non aver letto alcun mio libro ma di invidiare il comodo divano sul quale sto seduto a leggere o a scrivere; alcune cartoline sono fitte fitte e altre recano solo un disegno o due o tre parole decisive. In più di una si dice di voler camminare insieme a me per le strade di Trieste o di bere un caffè chiaccherando come capita. Grazie, amiche e amici.

Il “non-luogo” triestino appare a molti non soltanto una mancanza, un’assenza, bensì uno spazio quasi felice, una franchigia o un Punto Franco in cui pagare meno dazio alla vita esosa e insolvente. Trieste affascina molti. Balena sfuggente, plurima: esistono più Trieste? Mi si chiede. Alcuni la sentono vitale, ma altri vi avvertono “inquietud” e “mucha tristeza”. Trieste è Trieste, ma è anche un piccolo pezzo incastonato in Barcelona come nell’eclettismo di un edificio modernista. I e le mittenti sono persone di tutte le età, anche una bambina di dodici anni; alcune cartoline sono firmate da coppie o da intere famiglie. Qualcuna nomina Danubio o Microcosmi, ma più di una menziona Verde acqua, che contiene ancora di più la mia vita.

Mi chiedo se e chi un giorno incontrerò di questi amici e amiche nel cui percorso è entrato un sia pur piccolo frammento della mia esistenza; l’incontro in realtà è già avvenuto, fa parte della mia e un po’ della loro storia e dunque, nella nostra piccolissima dimensione, dell’universo. Le ho sul tavolo, queste cartoline, davanti a me, una flotta di piccole barche che mi accompagna, anche se non so verso dove. Non mi sento affatto l’ammiraglio di quella flotta, come non mi sento il protagonista della Mostra, ma non posso negare la gioia e anche la vanità di vedere il mio nome su ogni cartolina, la dove si scrive l’indirizzo, come il nome scritto sul retro o sul fianco di una barca. Quel nome della barca, in genere, è scritto in lettere piuttosto piccole, non lo si vede e non ci si accorge di esso quando si guarda una vela scivolare sul mare. Le vele, in questo caso, sono le parole scritte sulle cartoline, non il nome scritto nell’indirizzo.

Claudio Magris

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