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La mia citta’ di cartoline

July 11th, 2011 3 Comments

Non ti conoscevo, dice una delle cartoline – in francese – ma, dopo aver visto la Mostra, di te vorrei saperne di più. In una pagina del catalogo della Mostra stessa ho scritto che quest’ultima poteva forse essere il mio villaggio Potemkin, come quei bellissimi luoghi immaginari di cartone che il favorito della Zarina aveva costruito per nascondere la miseria della realtà che c’era dietro. E invece queste cartoline ricevute da tanti visitatori – tante cartoline di gente di diversi Paesi, al di qua e aldilà non solo dei Pirenei, ma anche dell’oceano – mi fanno capire, mi fanno toccare con mano che quella mirabile Mostra (uno dei più bei regali che io abbia mai ricevuto) è il mio ritratto.

O meglio, il ritratto della parte più vera di me, del mio modo di guardare, vivere e amare le cose, tanto più grandi e significative del mio scribacchiare. Non si tratta di me, ma di “Trieste a través de su persona”, come dice una di queste cartoline. E Trieste non vuol dire soltanto una città, di per sé piccola e modesta, ma una finestra dalla quale guardare il mondo, inquadrare la vita, raccontare delle storie. Se a quella finestra possono affacciarsi anche altri, se essa riesce a unire in un sentimento vario ma comune questi nuovi amici che si sporgono dal suo davanzale (in questo caso, il ciglio del Carso triestino o il molo che si protende nel mare davanti a Piazza Unità), il merito non è certamente mio, ma di chi ha voluto e creato la Mostra – di Josep Ramoneda, Jordi Ballò, Giorgio Pressburger, Paola Navone e delle collaboratrici e dei collaboratori che vi hanno dato un contributo creativo fondamentale. Io posso essere solo orgoglioso di aver dato lo spunto per questa creazione artistica che tanto mi trascende; che da me e dai miei libri prende le mosse per evocare, far balenare, rappresentare in modo originale una realtà peculiare non certo solo mia. E’ merito di chi l’ha pensata e allestita se, come dice una delle cartoline che ho ricevuto, è possibile a molte persone “compartir un Universo”.

Questa selva di cartoline di visitatori – che mi ha stupefattto perché mai avrei immaginato un tale slancio generoso da parte di amici sino a quel momento sconosciuti – è, a suo modo, un concentrato della Mostra stessa, una sua ri-creazione su scala materialmente ridotta ma straordinariamente significativa. Con esse si potrebbe costruire un affascinante castello di cartoline, un frattale della “Trieste di Magris”, che la contiene e riproduce. Per uno come me – il quale crede che scrivere, narrare siano un modo di gettare ponti tra diverse esistenze, una sfida all’insostenibile solitudine delle creature, una religio ossia un legame come volevano i narratori chassidici – questa città di cartoline è una vera grazia.

Una città composita: in queste cartoline c’è Trieste, c’è Barcelona, ci sono tante altre cose, raccolte in un luogo dell’anima. Sono indirizzate a me, con una generosità che mi tocca profondamente; le ricevo, tutte insieme, come una città di cui mi si offrono le chiavi. Una città del cuore – una di esse lo disegna – o meglio di diversi cuori. Non è poco, nel deserto di estraneità e malinteso in cui si muove l’esistenza di ognuno di noi. Non avrei mai immaginato di poter destare i sentimenti di amicizia, di vicinanza, di affinità spirituale testimoniati da queste cartoline. So bene di non essere soltanto e tanto io a destare questi sentimenti; è stata la Mostra a insinuare nell’anima di tante persone il desiderio di leggere ciò che ho scritto e soprattutto, come molti scrivono, di vedere il mio mondo, di venire a Trieste. Ma anche i premi che si ricevono senza merito scaldano il cuore e io mi sento circondato dall’affetto espresso in queste cartoline.

Postcard to Claudio Magris

Dovrei rispondere ad ognuna di essere, perché ogni dialogo è sempre a due, anche quando si allarga in un coro più ampio. Mi ha colpito la naturalezza, la sciolta spontaneità di questi messaggi in bottiglia che il mare della vita mi ha portato. Non ci sono troppi complimenti, qualcuno scrive di non aver letto alcun mio libro ma di invidiare il comodo divano sul quale sto seduto a leggere o a scrivere; alcune cartoline sono fitte fitte e altre recano solo un disegno o due o tre parole decisive. In più di una si dice di voler camminare insieme a me per le strade di Trieste o di bere un caffè chiaccherando come capita. Grazie, amiche e amici.

Il “non-luogo” triestino appare a molti non soltanto una mancanza, un’assenza, bensì uno spazio quasi felice, una franchigia o un Punto Franco in cui pagare meno dazio alla vita esosa e insolvente. Trieste affascina molti. Balena sfuggente, plurima: esistono più Trieste? Mi si chiede. Alcuni la sentono vitale, ma altri vi avvertono “inquietud” e “mucha tristeza”. Trieste è Trieste, ma è anche un piccolo pezzo incastonato in Barcelona come nell’eclettismo di un edificio modernista. I e le mittenti sono persone di tutte le età, anche una bambina di dodici anni; alcune cartoline sono firmate da coppie o da intere famiglie. Qualcuna nomina Danubio o Microcosmi, ma più di una menziona Verde acqua, che contiene ancora di più la mia vita.

Mi chiedo se e chi un giorno incontrerò di questi amici e amiche nel cui percorso è entrato un sia pur piccolo frammento della mia esistenza; l’incontro in realtà è già avvenuto, fa parte della mia e un po’ della loro storia e dunque, nella nostra piccolissima dimensione, dell’universo. Le ho sul tavolo, queste cartoline, davanti a me, una flotta di piccole barche che mi accompagna, anche se non so verso dove. Non mi sento affatto l’ammiraglio di quella flotta, come non mi sento il protagonista della Mostra, ma non posso negare la gioia e anche la vanità di vedere il mio nome su ogni cartolina, la dove si scrive l’indirizzo, come il nome scritto sul retro o sul fianco di una barca. Quel nome della barca, in genere, è scritto in lettere piuttosto piccole, non lo si vede e non ci si accorge di esso quando si guarda una vela scivolare sul mare. Le vele, in questo caso, sono le parole scritte sulle cartoline, non il nome scritto nell’indirizzo.

Claudio Magris

Trieste, Magris and Alzheimer’s: a possible combination

May 17th, 2011 No Comments

The exhibition “The Trieste of Magris” has to be visited in company.

The exhibition “The Trieste of Magris” has to be visited with at least three of the five senses: sight, hearing and touch.

If this is the case, even though the exhibition deals with an Italian city little known on the tourist circuit and a writer, Claudio Magris, who is not very widely read, everyone leaves the gallery having had a unique experience. “Everyone” means everyone—Alzheimer’s sufferers, too.

Last October, the CCCB started a programme of visits to our exhibitions for Alzheimer’s sufferers, and their families and carers. The experience began with “Through Labyrinths”, which we talked about in this blog.

In the case of “The Trieste of Magris”, the three of us responsible for this initiative thought twice. The combination of Trieste, Magris and Alzheimer’s seemed to be impossible.

It was actually quite the opposite. The fantastic montage of the exhibition by Italian architect Paola Navone, perfectly interpreting the guidelines of the curator, Giorgio Pressburger, played a big part.

The exhibition layout is a journey around the principal places in the city of Trieste, past and present. It is an invitation to get to know the intellectuals who lived, worked and created there. It is a walk around the places in the city that Magris describes in his books.

The Alzheimer’s sufferers who accompanied us on this journey were open to feeling, listening, debating, questioning, laughing and getting excited. And excitement is infectious.

Yes, the exhibition “The Trieste of Magris” has to be visited in company—especially if the company is that good!

Photographs of the visit: Irene Ruiz Auret

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